CIRCOLARE DEL 03.04.2020
Oggetto: Il dovere di sicurezza in capo al datore di lavoro ai tempi del COVID-19
L’attuale situazione di emergenza sanitaria, che colloca la complessa reazione delle Autorità nel quadro della precauzione, impone che anche le condotte dai cittadini si pongano sulla medesima traiettoria comportamentale. Non è differente l’istanza rivolta al datore di lavoro, che deve porre in essere – al pari di tutti gli altri – comportamenti di massima cautela. In quest’ottica vanno declinate le indicazioni operative contenute nel Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro del 14 marzo 2020.
IL PRINCIPIO DELLA PRECAUZIONE:
La pandemia costituisce un rischio generico di malattia comune a tutti i cittadini, tale da infestare intere Regioni ed essere causa di morte per le popolazioni, non un rischio specifico dei lavoratori. Proprio l’identità della condizione di cittadini e lavoratori e l’assenza di un quid pluris che introduca elementi differenziali impone di riferire a tutti il medesimo approccio cautelare. È, dunque, evidentemente incostituzionale la qualificazione della malattia da COVID-19 come infortunio sul lavoro estesa al personale differente da quello sanitario ex articolo 42, D.L. 18/2020 (Corte Costituzionale, n. 469/1989 e n. 226/1987).
Il principio della precauzione trova applicazione in tutti i casi in cui una preliminare valutazione scientifica obiettiva evidenzi ragionevoli motivi di temere per l’ambiente e/o la salute degli esseri umani. In questo caso, il pericolo (il virus COVID-19) non è noto nei suoi contorni e mancano efficaci strumenti di reazione e, quindi, non è possibile gestire un rischio derivante da un pericolo ignoto, con la conseguenza che i tradizionali strumenti della prevenzione (rimessa al datore di lavoro) lasciano il posto alla cautela (rimessa all’azione generale dello Stato, ex articolo 32, Costituzione).
Come ha efficacemente sintetizzato l’INL con nota n. 89/2020,
“La situazione emergenziale di carattere sociale, nazionale e non, investendo l’intera popolazione, è connotata da un indice di rischio determinato dalla particolare evoluzione del fenomeno, dalle condizioni soggettive dei singoli, nonché da un’indeterminazione valutativa che non può che essere rimessa alle alte istituzioni, sia per complessità che per entità del rischio nonché per le misure di prevenzione da adottare. La valutazione del rischio e le relative misure di contenimento, di prevenzione e comportamentali, infatti, sono, per forza di cose, rimesse al Governo, alle Regioni, ai Prefetti, ai Sindaci ed ai Gruppi di esperti chiamati ad indicare in progress le misure ed i provvedimenti che via via si rendono più opportuni in ragione della valutazione evolutiva dell’emergenza. In tale ottica, il margine di valutazione e determinazione dei datori di lavoro appare evidentemente limitato all’attuazione attenta e responsabile delle misure che le predette Autorità stanno adottando, assicurando che tutto il personale vi si attenga, regolamentando le attività svolte in una prospettiva di sano ed attivo coinvolgimento consapevole del personale medesimo, all’interno ed all’esterno dei luoghi di lavoro, in una logica di accompagnamento alle indicazioni nazionali”.
Ecco che, alla luce di questa necessaria premessa, può leggersi il formale invito del Governo alle parti sociali a individuare i connotati di un Protocollo per modellare l’intervento cautelare pubblico alla sfera privata delle attività produttive non sospese.
IL PROTOCOLLO DEL 14 MARZO 2020:
La valenza giuridica del Protocollo è conferita, al di là del formale sostegno del Governo, dall’anticipazione contenuta nell’articolo 1, D.P.C.M. 11 marzo 2020, e dal richiamo espresso nel D.P.C.M. 22 marzo 2020 laddove, all’articolo 1, comma 3, dispone che
“Le imprese le cui attività non sono sospese rispettano i contenuti del protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus covid-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto il 14 marzo 2020 fra il Governo e le parti sociali”.
Il Protocollo non deroga alle regole prevenzionali del D.Lgs. 81/2008, semplicemente si pone su un piano diverso, quello precauzionale. Ecco perché non dev’essere aggiornato il DVR (come ricordato dal medesimo INL e dalle indicazioni di molte Regioni) e risultano, quindi, incoerenti eventuali richieste in questo senso.
INDICAZIONI OPERATIVE:
Cosa deve fare, dunque, il datore di lavoro?
Le indicazioni operative sono indicate nel Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro del 14 marzo 2020.
- Innanzitutto, continuare ovviamente a rispettare il D.Lgs. 81/2008, leggendo le disposizioni ivi contenute alla luce della situazione attuale.
Si faccia l’esempio della pulizia o dell’organizzazione: è evidente che le tradizionali misure vanno rinforzate e orientate a logiche di maggior rigore per corrispondere alla logica delle istanze delle Autorità sanitarie. Questo non è, tuttavia, sufficiente, perché la reazione a una situazione emergenziale impone misure eccezionali (imposte dall’Autorità) diverse e ulteriori rispetto a quelle ordinarie (rimesse al datore di lavoro). Anche un eventuale aggiornamento del piano di emergenza avrebbe poco senso, posto che l’emergenza è affrontata dal Legislatore e dal Governo, secondo valutazioni giornaliere e con provvedimenti (Decreti Legge, Decreti presidenziali, ordinanze, circolari, etc.), che, modificandosi continuamente, dispongono comportamenti sistematicamente aggiornati e misurati sulla continua rivalutazione della situazione.
- In secondo luogo, il datore di lavoro è chiamato ad adottare un protocollo aziendale sulla scorta di quello siglato il 14 marzo 2020 o di quelli ulteriori siglati successivamente e di matrice settoriale (ad esempio edilizia o settore sanitario).
Per il datore di lavoro, adottare il protocollo non significa semplicemente recepire il Protocollo nazionale né fare un accordo, ma definire, anche con misure equivalenti o maggiormente cautelative, secondo le peculiarità della propria organizzazione, un percorso con l’essenziale supporto di medico competente e Rspp – quali consulenti tecnici e non nell’esercizio delle loro funzioni tradizionali – che, ripercorrendo le linee contenute nel Protocollo con il necessario supporto del sindacato, si soffermi essenzialmente su 2 aspetti: evitare l’ingresso in azienda del virus e riorganizzare alcuni aspetti organizzativi e comportamentale secondo una logica precauzionale.
- Sul piano operativo, come prima indicazione, è fondamentale un rigoroso controllo degli accessi, per chiunque (dipendente, fornitori, terzi, ospiti, etc.) entri in azienda. Queste azioni riflettono la stessa logica del Governo volta a contenere ed evitare la diffusione del virus.
Il virus non è presente in azienda e non è ovviamente detto che chi intende entrare ne sia portatore, ecco l’approccio precauzionale e non prevenzionale: l’obbligo di misurare la temperatura, dichiarare eventuali fonti di contagio, l’informazione sull’obbligo di rimanere o tornare a casa in presenza di temperatura superiore a 37,5° e sull’aver rispettato gli obblighi di informare il medico di famiglia in caso di dubbi e i servizi sanitari in caso di sintomatologia sono precauzioni necessarie. Si tratta di un momento particolare e decisivo, tanto da superare i profili di privacy, una tutela che spesso (questa è una di quelle situazioni) appare veramente impropria, che deve cedere sempre, senza dubbi e automaticamente di fronte alle tutele costituzionali di beni ben più rilevanti (innanzitutto, la salute e la vita). Tutti coloro che hanno condiviso il protocollo – Governo compreso, che si è assunto l’impegno di garantirne l’attuazione e lo ha formalizzato nel D.P.C.M. 22 marzo 2020 – hanno superato tanto la privacy (e l’improvvida nota del Garante del 2 marzo 2020) quanto alcune previsioni di Legge (articolo 5, L. 300/1970), nella convinta e comune consapevolezza della gravità del momento. E dunque controlli – sanitari e informativi – all’ingresso.
Organizzazione dei controlli anche nell’accesso in azienda dei fornitori: una procedura deve regolare – nella stessa logica delle interferenze governate ex articolo 26, D.Lgs. 81/2008 – i rapporti tra datore di lavoro e lavoratori di altre imprese. È fondamentale, per evitare il contagio, che le persone che fanno accesso in azienda siano rese preventivamente (a partire dalle comunicazioni tra le imprese interessate) consapevoli dei limiti e delle condizioni per l’accesso.
Un ruolo essenziale è attribuito (dalle politiche governative e, quindi, anche dai modelli comportamentali aziendali) alla responsabilizzazione dei comportamenti, analoga a quella che governa (in omaggio al principio di prevenzione) la gestione dei rischi in azienda: nessuna regola potrà mai risultare efficace se di essa non sia portatore consapevole e attento chiunque operi in azienda, a qualsiasi titolo. Una responsabilizzazione che passa proprio dalla massima diffusione del messaggio aziendale e dal superamento delle barriere tradizionalmente poste a tutela della riservatezza di alcune condizioni personali.
Così delineato il momento primo e fondamentale, l’accesso in azienda, è fondamentale che il messaggio precauzionale faccia prepotentemente ingresso in azienda.
- Sul piano organizzativo, comportamentale e precauzionale, la linea che guida l’azione del datore di lavoro è la gestione, mediante protocolli e azioni, dei principi espressi nel D.P.C.M. 11 marzo 2020 e nel Protocollo del 14 marzo 2020. Organizzazione del lavoro – garantendo, quanto più possibile, il distanziamento interpersonale – e informazione sulle modalità di rispetto delle regole igienico-sanitarie, nonché dotazione dei necessari strumenti di protezione e disinfezione, sono al centro del necessario nuovo stile comportamentale.
Laddove ciò non fosse rispettato, non rimarrebbe che bloccare l’attività produttiva.
Quelle dettate dal Protocollo sono regole minime, ma adeguate per consentire la prosecuzione delle attività lavorative, per cui occorre evitare eccessi che non aggiungono nulla alla precauzione, quale segno di responsabilità: ad esempio, lo spreco del gel disinfettante (utilizzandolo dopo essersi lavati le mani, secondo le indicazioni dell’Autorità sanitaria) o l’uso della mascherina in occasioni o di tipologia non prescritti dall’Autorità sanitaria (anche per chi può osservare la distanza minima ovvero di tipo addirittura potenzialmente dannoso per il lavoratore in ambito non sanitario).
- Fondamentali la pulizia e, periodicamente e secondo le indicazioni dell’Autorità sanitaria, la sanificazione. Gli ambienti di lavoro sono ordinariamente sottoposti a pulizia: viene richiesto di curare con particolare attenzione strumenti di uso condiviso (come ad esempio le postazioni di lavoro) e luoghi comuni (aule, punti di ristoro, mense).
Importante è che l’azione di pulizia si frapponga, per quanto possibile, nell’uso della medesima attrezzatura da parte di persone diverse. Alcuni protocolli hanno previsto, responsabilizzando sul piano sociale gli stessi lavoratori, che siano loro a provvedere alla pulizia nel momento di lasciare la postazione a un collega del turno successivo.
- Fondamentale la pulizia laddove sia stata presente una persona con COVID-19, da eseguire secondo le modalità indicate dal Ministero della salute, e la sanificazione periodica, secondo le valutazioni aziendali (ricorrendo anche agli ammortizzatori sociali).
Al centro di notevoli dibattiti e polemiche, le mascherine (chirurgiche o DPI) svolgono – se usate secondo le indicazioni delle Autorità sanitarie e insieme a tutte le precauzioni igieniche – un ruolo importante: occorre scegliere quelle adeguate e utilizzarle nelle situazioni necessarie. Purtroppo, la situazione di emergenza incide anche sulla correttezza delle disposizioni: è il caso, ad esempio, delle procedure semplificate per la produzione e commercializzazione di mascherine e DPI o delle mascherine “filtranti”, che hanno dato luogo a interpretazioni e applicazioni controverse. Così come l’indicazione della possibilità di produrre il gel disinfettante direttamente in azienda, soprattutto per quelle che sono tecnologicamente attrezzate e che ne valutano correttamente i rischi: la carenza in commercio non può giustificare l’assenza di dispositivi fondamentali. Certamente, l’incremento della produzione consentirà di non ricorrere a questo strumento, ma, in caso di emergenza, l’aspetto sostanziale (con le dovute cautele e garanzie) prevale sull’aspetto formale (come accade per le mascherine chirurgiche equiparate a DPI).
- L’aspetto organizzativo riveste, del pari, un ruolo essenziale: a valle di misure generali (ricorso a strumenti contrattuali di riduzione della presenza di persone in azienda: chiusura di reparti non essenziali, ferie, smart work, turni, etc.) e a strumenti previsti dalle norme (cassa integrazione), il distanziamento interpersonale di chi resta fisicamente in azienda è lo strumento che caratterizza la complessiva azione del Governo, e deve essere anche l’approccio di fondo di ogni politica organizzativa della vita in azienda.
La medesima logica del distanziamento sociale dovrà caratterizzare la gestione dell’uso degli spazi comuni e l’organizzazione delle attività in azienda, avendo cura di identificare e regolamentare tutte le occasioni (flussi di entrata e uscita, spostamenti interni, gestione di spazi comuni, riunioni, etc.) nelle quali possa evidenziarsi la compresenza di persone.
La natura sanitaria dell’emergenza impone alcune brevi riflessioni sulla sorveglianza sanitaria assicurata dal medico competente. Come detto, la pandemia non è riconducibile a un fatto professionale, per cui l’ordinaria sorveglianza sanitaria non sarebbe di per sé sufficiente a garantire né la salute né il ruolo sociale e di collaborazione che viene richiesto all’azienda nell’ambito dello sforzo comune per affrontare l’emergenza.
IL MEDICO COMPETENTE:
- Nel Protocollo viene valorizzato il ruolo essenziale del medico competente, come consulente del datore di lavoro, nell’integrare e proporre tutte le misure di regolamentazione legate al COVID- 19: nessuna azione del datore, in questa fase, può essere correttamente posta in essere se non con il concreto supporto del medico competente.
In questo senso, prima di tutto, la sorveglianza sanitaria non deve cessare: certamente, è ovvio, essa dovrà svolgersi con le modalità indicate dalle Autorità pubbliche, quindi rispettando tutte le regole relative alle distanze e alla dotazione di DPI. Anche l’organizzazione, ad esempio, del protocollo sanitario, non può che recepire le indicazioni dell’Autorità.
L’esigenza di uniformità ha condotto i soggetti che hanno sottoscritto il Protocollo a richiamare espressamente le indicazioni del Ministero della salute: il primo elemento che caratterizza la continuità della tutela dei lavoratori è il rispetto della salute del medico, facendo ricorso alle più aggiornate indicazioni ufficiali.
A tale, ovvia, considerazione, consegue – nel rispetto dell’autonomia del medico – un’indicazione che spinge a privilegiare le occasioni nelle quali il medico può intercettare possibili casi e sintomi sospetti del contagio, sia per l’informazione e la formazione che il medico competente può fornire ai lavoratori per evitare la diffusione del contagio. È evidente che sarà il medico a determinare il percorso che ritiene più opportuno.
Così come è essenziale che il medico competente segnali all’azienda situazioni di particolare fragilità e patologie attuali o pregresse dei dipendenti: queste sono le condizioni nelle quali il Ssn ha identificato un rischio aggravato per chi venisse contagiato. Il D.P.C.M. dell’8 marzo 2020 raccomanda, infatti, a tutte le persone affette da patologie croniche o con multimorbilità, ovvero con stati di immunodepressione congenita o acquisita, di evitare di uscire dalla propria abitazione o dimora fuori dai casi di stretta necessità e di evitare, comunque, luoghi affollati nei quali non sia possibile mantenere la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro.
Altrettanto essenziale la presenza del medico competente nel Comitato per l’applicazione e la verifica delle regole del protocollo aziendale previsto dal Protocollo nazionale del 14 marzo 2020.
In conclusione, il Protocollo nazionale del 14 marzo 2020 delinea un sistema aziendale sinergico e ben organizzato, fondato sulle indicazioni cautelari dell’Autorità.
Lo Studio rimane a disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti.